domenica 17 ottobre 2010

SCUOLA. Guardiamo al futuro.

Dieci proposte per la scuola di domani.
Gli obiettivi di Europa 2020 chiedono a tutti gli Stati membri di promuovere una
crescita intelligente, inclusiva e sostenibile. Per il futuro dell’Italia, per tornare ad avere
alti tassi di occupazione, produttività e coesione sociale, dobbiamo raggiungere un
risultato molto concreto: dimezzare il nostro tasso di dispersione scolastica e triplicare
il numero di laureati. Solo se sapremo investire sui saperi, scommettendo sulla qualità
del capitale umano del nostro Paese e su una società della conoscenza diffusa, potremo
tornare a crescere.
Il rapporto annuale 2009 dell’ISTAT, fa emergere un vero e proprio allarme educativo.
L’Italia ha un primato negativo in Europa: 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24
anni non sono né a scuola, né al lavoro; vivono una condizione di vuoto a grandissimo
rischio. Il tasso di abbandono scolastico è del 22%: il 12,2% degli iscritti al primo
anno della scuola superiore abbandona definitivamente la scuola, il 14% al Sud. I
livelli di istruzione della popolazione italiana sono troppo bassi: soltanto il 12,8% della
popolazione è in possesso di una laurea, il 40% di un diploma, il 46,6% ha soltanto
la licenza media. Il divario nei livelli di istruzione della popolazione italiana (soprattutto
adulta) è molto elevato rispetto ai paesi europei. La scuola ha storicamente ottenuto
risultati importanti nella lotta all’analfabetismo, ma ancora oggi opera in un
Paese con un livello culturale troppo basso. Altri dati allarmanti del rapporto Istat riguardano la lettura e l’utilizzo delle tecnologie da parte dei giovani: 1,2 milioni di
giovani nel 2009 non ha letto alcun libro e non sa utilizzare il computer. Il recente
rapporto Ocse 2010 evidenzia come la media di investimenti in istruzione dei paesi
membri, sia cresciuta fortemente negli ultimi anni e risulti pari al 5,7% del Pil, ma
l’Italia si colloca al di sotto della media, investendo solo il 4,5 % del PIL. Penultimi in
graduatoria, davanti solo alla Slovacchia. Eppure è dimostrato che la maggiore spesa
per istruzione produce rendimenti certi, come un maggior gettito fiscale ed una maggiore
occupabilità e la stessa Banca d’Italia sostiene, sulla base di complesse analisi,
che il rendimento medio dell’investimento in istruzione è dell’8.9%.
Il Governo non affronta i problemi cronici del sistema scolastico italiano, ma li aggrava,
infliggendo 8 miliardi di tagli, e sottraendo 132.000 posti di insegnanti e personale
ATA nel triennio. Una cura da cavallo, che sta uccidendo il malato.
Il PD non solo è impegnato a difendere il diritto universale all’istruzione ma intende rendere il sistema scolastico italiano più efficace e più equo. Vogliamo riportare gradualmente l’investimento almeno al livello medio dei Paesi OCSE. Torniamo ad investire sulla conoscenza per garantire a tutti pari opportunità di apprendimento e di educazione.
La scuola, per garantire “uguaglianza e libertà”, come ci chiede la nostra
Costituzione. La scuola, unico vero ascensore sociale, per ridare slancio ad una società bloccata. Non basta difendere l’esistente, dobbiamo dare a questo Paese una prospettiva di cambiamento.
Vogliamo scuole aperte tutto il giorno, tutto l’anno e per tutta la vita. Facciamo
partire di qui il nostro “progetto per l’Italia”, per mobilitare energie, persone, intelligenze, per farne un nuovo movimento. Scuole aperte perché come diceva Caponnetto la mafia teme più la scuola della giustizia. Immaginiamo la scuola come luogo fondante di comunità, dove oltre ai necessari insegnamenti curricolari ci si può fermare il pomeriggio per studiare, fare sport, suonare, recitare, imparare le lingue. Dove diventa un valore anche l’apprendimento non formale e informale.
Vogliamo che in una scuola come questa la qualità, sia intesa come raggiungimento
di risultati alti per tutti gli studenti (e non solo per una parte di loro); vogliamo
contrastare la dispersione scolastica la discriminazione sociale; il rinnovamento della figura del docente, non più erogatore di conoscenza, ma sollecitatore dell’apprendimento;
la ristrutturazione dei luoghi e dei tempi della scuola, oggi fissati rigidamente.
La scuola di domani deve promuovere le persone e le loro conoscenze e competenze
lungo tutto l’arco della vita, perché possano acquisire e mantenere i diritti di
cittadinanza. Deve dare priorità all’apprendimento, tenendo conto del divenire dei
ragazzi nelle diverse età e contesti sociali in cui vivono. Deve formare cittadini capaci di informarsi e aggiornarsi per tutta la vita, per partecipare attivamente e consapevolmente alla vita economica e civile. La scuola che vogliamo ha fra i propri scopi la trasmissione dei principi che fondano la convivenza civile e non può non essere conforme ai principi della Costituzione e alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Questi due pilastri della democrazia implicano oggi la promozione di una cittadinanza attiva in una società e quindi in una scuola sempre più interculturale. Oltre alla necessità di stabilire un’architettura di sistema conforme a questo fine, è necessario operare sul curriculum del cittadino attivo, promuovendo un nuovo protagonismo degli studenti, la parità di genere, una didattica innovativa e interattiva, flessibile, centrata sul metodo cooperativo, laboratoriale, attenta al plurilinguismo e ai nuovi linguaggi, aperta al territorio, con nuove modalità di organizzazione dei tempi, degli spazi, dei gruppi, il che, a qualsiasi età, risulta impossibile senza una pluralità di presenze docenti. Una simile scuola della comunità per le comunità diventa “presidio pedagogico” del territorio,
capace di promuovere, attraverso la formazione, nuove relazioni sociali, sviluppo,
integrazione e mobilità sociale.
Per raggiungere questi obiettivi è necessario arricchire l’offerta formativa anche
attraverso un lavoro di rete, tra scuole e con altri enti ed agenzie impegnate nel territorio, affinché la funzione di “mediazione” della scuola, finora prevalentemente
svolta nei confronti della cultura umanistico-classica e occidentale, si rivolga anche alle altre culture, storie, antropologie; nonché alla cultura scientifica, statistica, giuridica ed economica, fortemente penalizzate dalla scuola del passato e anche da quella del presente.

Le conoscenze e le competenze necessarie alla missione culturale e civile della
scuola qui tratteggiata andranno tenute in grande considerazione nella formazione
iniziale e in servizio dei docenti, anche attraverso una qualificata azione di documentazione delle buone pratiche.
Una scuola veramente accogliente, per tutti, dovrebbe potenziare scambi e relazioni
con istituti e famiglie di altri Paesi e promuovere la preparazione pedagogica di
una nuova generazione di mediatori interculturali. Nello stesso spirito la scuola dovrebbe non tagliare, ma potenziare e qualificare il sostegno alle classi con alunni diversamente abili (con nuova attenzione ai disturbi specifici di apprendimento e al “semplice” disagio): una pedagogia inclusiva che fa bene a tutti gli alunni, di cui l’Italia è stata leader in Europa.
Oggi più del 60% degli alunni cosiddetti stranieri sono nati in Italia da famiglie
immigrate; il PD è da tempo impegnato, a livello legislativo, nell’estensione della cittadinanza ai nati in Italia. Nei casi di emergenza linguistica, che pure esistono, occorre affrontare la domanda investendo, come hanno fatto i governi e le amministrazioni di centrosinistra, in didattica supplementare dell’italiano come lingua straniera ed altri programmi atti a favorire un rapido ed equilibrato inserimento. Per la generalità dei casi occorre però ripensare l’offerta e orientarsi verso nuovi programmi e modalità di apprendimento che possono diventare una ricchezza per il sistema scolastico italiano.

1 Un nuovo piano straordinario per un’educazione di qualita’ 0-6
Negli ultimi decenni le scienze pedagogiche, psicologiche, sociologiche, così come
più recentemente le neuroscienze, insegnano dell’importanza dell’infanzia nella vita
delle persone, delle condizioni materiali e relazionali in cui la si vive e delle esperienze educative che vengono offerte. Anche gli economisti oggi sottolineano la necessità che, in una società globalizzata, si investa nel capitale umano garantendo a tutti un’educazione prescolare.
Vogliamo la riunificazione del sistema di educazione prescolare. Serve un nuovo
piano straordinario triennale per l’implementazione del sistema territoriale dei servizi
educativi della prima infanzia, per raggiungere l’obiettivo del 33% di copertura.
Vogliamo trasformare l’asilo nido da servizio a domanda individuale a diritto educativo
di ogni bambino e bambina, come già proposto da molti anni e da molte parti
(Legge di iniziativa popolare 0-6 depositata al Senato da Anna Serafini) e garantire
ad ogni bambino e bambina del nostro Paese un posto nella scuola della scuola dell’infanzia(oggi le liste di attesa nelle scuole dell’infanzia sono tornate a crescere).
I divari abnormi tra nord e sud del Paese nei livelli di istruzione, si spiegano anche così: nel mezzogiorno sono pochissimi i posti al nido e una rarità il tempo pieno nella scuola primaria.
2 La scuola primaria: nessun bambino sia lasciato indietroI modelli educativi del tempo pieno e del modulo con le compresenze degli insegnanti,
sono considerati un’eccellenza a livello europeo, e producono, proprio grazie
al lavoro in piccoli gruppi, i più alti livelli di apprendimento degli alunni.
I test Invalsi e i dati OCSE Pisa parlano chiaro: il rendimento scolastico degli alunni è più alto laddove è più diffuso il modello educativo del tempo pieno.
Noi i gioielli di famiglia del sistema scolastico italiano “tempo pieno e modulo a
30 ore con le compresenze” li rimetteremo in vetrina e li estenderemo in tutto il Paese.
3 Una scuola autonoma nel sistema delle autonomie locali
Per raggiungere l’obiettivo di dimezzare la dispersione scolastica, come chiesto
dagli obiettivi di Europa 2020, non basteranno di certo le pesanti catene dell’ordine
e disciplina con cui la Gelmini vuol tenere i ragazzi legati ai banchi delle nostre scuole.
Occorre attribuire piuttosto alla scuola autonoma e all’autonomia di insegnamento
quelle risorse necessarie per innovare la didattica della scuola superiore di primo e
secondo grado.
E’ solo investendo in un più stretto rapporto tra autonomie locali e scuole autonome,
che riusciremo a sconfiggere davvero i mali del sistema scolastico italiano, colmando
i divari tra nord e sud del Paese, che questo Governo sta invece ampliando.
Uno degli aspetti fondamentali che concorre alla crescita della qualità della scuola è costituito infatti dal rapporto positivo, dalla collaborazione tra la scuola stessa e le autonomie locali. È, quindi, fondamentale incrementare le relazioni tra autonomie scolastiche e autonomie locali, rendendo la scuola un luogo aperto, un centro in cui la comunità si ritrova e si identifica; inoltre, la scuola deve fruire delle opportunità del territorio.
Il Partito Democratico propone di sottoscrivere definitivamente l’accordo sull’attuazione del Titolo V, già licenziato dalla Commissione Tecnica della Conferenza Stato-Regioni.
Un cambiamento così radicale del quadro normativo e della distribuzione delle
competenze tra Stato e Regioni comporta una trasformazione profonda del funzionamento
del Ministero dell’Istruzione, oggi fortemente impegnato in una gestione
amministrativa centralizzata sulla vastissima organizzazione scolastica, che conta più di 1 milione e 200mila dipendenti, che si articola in autonomie scolastiche distribuite in modo capillare in tutto il Paese. Il Ministero deve potenziare e qualificare le proprie funzioni di indirizzo, di programmazione alta, di verifica, valutazione e controllo rispetto al funzionamento delle autonomie scolastiche e ai risultati di apprendimento dei ragazzi. Gli uffici scolastici regionali, attuali articolazioni del Ministero della Pubblica Istruzione, devono essere trasferiti per le loro competenze e per la maggioranza del personale dipendente alle Regioni.
Alle Regioni spetta definire il dimensionamento e il numero delle autonomie scolastiche, la distribuzione nel territorio delle scuole, le specializzazioni nella scuola superiore.
La valorizzazione dell’autonomia scolastica costituisce per noi una assoluta priorità, non ancora realizzata a distanza di dieci anni dall’approvazione della legge che la ha istituita.
Occorre, quindi, una legge che rimotivi nella scuola la partecipazione degli studenti, delle famiglie e di tutto il personale scolastico, riaffermando l’autonomia e la libertà di insegnamento. Le scuole hanno fatto molto per migliorare i livelli di apprendimento e combattere la dispersione: hanno prodotto sperimentazioni importanti, molto al di là delle innovazioni di carattere normativo e delle risorse statali alle stesse dedicate. Si tratta di esperienze basate su ricerche e sperimentazioni di grande valore,
che dovrebbero essere maggiormente conosciute e diffuse, proprio perché costituiscono
buone pratiche per la qualificazione della scuola. E’ importante sostenere questa
azione di ricerca e di formazione sul campo dei docenti, affinché diventi un
patrimonio comune di tutte le scuole, non solo di quelle che le hanno messe in atto.
4 Dai livelli essenziali delle prestazioni (lep) ai livelli essenziali degli apprendimenti e delle competenze (leac).In maniera ormai malcelata, la questione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni, per
il Governo, assume la declinazione di livelli minimi, fondati sui tagli dall’art. 64 della
legge 133 del 2008.
La sfida che il nostro Partito vuole lanciare su questo tema è nel merito, fondata
su elementi concreti e comprensibili per l’opinione pubblica, ovvero declinare i LEP
come livelli essenziali di apprendimenti e competenze necessari LEAC.
La scelta degli apprendimenti e delle competenze, quale elemento determinante
per la definizione dei LEAC, consente di garantire l’unitarietà dell’ordinamento dell’istruzione,(un ragioniere di Torino deve avere le stesse competenze di uno di Trapani) e queste competenze devono essere utili a raggiungere quegli obiettivi che la strategia di Lisbona ha indicato e che gli standards internazionali richiedono e rilevano.
Nella definizione dei costi standard occorre far riferimento alla quota capitaria
pesata, riferita ad ogni ragazzo in età scolare, ponderata sulla base delle caratteristiche socio-culturali e geomorfologiche del territorio, sulla base della presenza di alunni disabili e di alunni stranieri; questa quota dovrà essere definita sulla base di numerosi indicatori di carattere quantitativo e qualitativo.
5 Risorse umane e finanziarie certe per la scuola dell’autonomia.
Dagli organici di diritto e di fatto, all’assegnazione di un organico funzionale a ciascuna scuola autonoma.
La scuola autonoma, per poter assolvere pienamente il proprio mandato educativo
ha bisogno di una stabilità pluriennale delle risorse finanziarie e professionali.
Per questo occorre innovare le norme per dare soluzione al problema dei residui
attivi e ricondurre a binari paralleli ed omogenei la tempistica dell’erogazione annuale
dei finanziamenti secondo il calendario dell’anno scolastico, per determinare una
maggiore trasparenza e responsabilità, permettere una migliore programmazione
delle risorse ed altrettanto migliore capacità di analisi e gestione della spesa.
Non può più essere che i finanziamenti della legge 440/97 arrivino con oltre un
anno di ritardo, sempre più parcellizzati e in minima parte rispetto allo stanziamento globale. Questi dovrebbero essere attributi integralmente alle scuole subito dopo l’approvazione del bilancio dello Stato, modificando la legge laddove questa prevede un iter molto complicato e ormai privo di senso (come il parere delle commissioni parlamentari sul piano di riparto e la registrazione della direttiva annuale da parte della Corte dei Conti). Questa modifica alla legge 440/97 è una riforma a costo zero ma d’immediato beneficio. C’è poi un problema di trasparenza che va superato con la pubblicazione da parte del MIUR dei parametri utilizzati per inviare i fondi e della composizione delle tranche.
Le scuole autonome oltre ad aver bisogno di certezze sulla dotazione di risorse finanziarie su cui poter contare per poter organizzare al meglio il POF, hanno bisogno di certezze anche sugli organici professionali a disposizione.
Per questo proponiamo il superamento della distinzione tra organico di diritto e
organico di fatto, per passare all’assegnazione a ciascuna scuola autonoma di un ORGANICO FUNZIONALE, che includa per reti di scuole anche una quota di personale
per le supplenze brevi e professionalità specializzate a supporto dei ragazzi con bisogni speciali (autismo, dislessia, discalculia, etc). L’assegnazione deve poter essere almeno triennale, e concordata con la programmazione attuata dagli Enti Locali dei piani di offerta formativa territoriale. Questo sistema, che costa non molto di più della spesa attuale complessiva dello Stato (ai supplenti vengono pagate comunque la disoccupazione e le ferie non godute), comporterebbe innumerevoli vantaggi, come: il superamento del precariato scolastico; la programmazione certa dei fabbisogni di insegnanti e conseguente piano di reclutamento; la piena autonomia delle scuole nell’organizzazione della didattica per raggiungere l’obiettivo del successo scolastico dei ragazzi e delle ragazze.
6 Un moderno sistema di valutazione per una scuola pubblica di qualità.
Una piena realizzazione dell’autonomia necessita di un sistema di valutazione, di
carattere nazionale, con modalità di interlocuzione con i territori, soprattutto con le
Regioni, indipendente dal Ministero e responsabile verso il Parlamento, che includa
la valutazione dell’intero sistema scolastico, delle scuole,dei dirigenti e dei docenti - su base volontaria in relazione all’avanzamento di carriera – come parti integranti di una valutazione complessiva dell’autonomia scolastica.
7 Formare e reclutare gli insegnanti di domani.
La situazione in cui versa il precariato dei docenti e ATA richiede attenta considerazione
e interventi immediati. La stabilità del personale è essenziale; il precariato è
un problema che compromette la qualità complessiva della scuola e potrà essere pienamente
superato solo attraverso una più articolata e autonoma organizzazione del
lavoro scolastico.
Occorre perciò rendere immediatamente disponibili per l’immissione a tempo indeterminato
i posti attualmente coperti con incarico annuale e riprendere in prospettiva
il piano di stabilizzazioni intrapreso dal governo Prodi. In previsione del momento
in cui cominceranno ad essere disponibili gli abilitati del nuovo sistema di formazione
iniziale, va garantito un equilibrio tra immissioni dalle graduatorie e nuovo reclutamento
attraverso un’opportuna relazione fra numero chiuso e fabbisogno.
Contrariamente a quanto finora previsto, il nuovo sistema di formazione iniziale
dovrà valorizzare le esperienze positive maturate nell’ambito delle SSIS, e in partico-
lare i supervisori SSIS, figure chiave per il raccordo scuola-università. E’ necessario introdurre una formazione in servizio obbligatoria e certificata.
La continuità didattica è un bene essenziale: salvo rare e motivate eccezioni, il
personale docente dovrebbe rimanere in servizio presso la stessa scuola per non meno
di 3 anni. L’accesso all’insegnamento deve avvenire in ogni caso per pubblico concorso;
rimane aperto l’ambito territoriale in cui il concorso può essere effettuato,
fermo restando il pari diritto di accesso per tutti i cittadini italiani (e ormai anche
dell’Unione Europea, unico vincolo essendo quello della conoscenza della lingua).
Nella condizione attuale non riteniamo che ci siano le condizioni giuridiche e gestionali
per affidare il reclutamento alla scelta delle singole scuole, scelta di carattere discrezionale,
senza alcuna procedura di selezione.
Completare il processo dell’autonomia scolastica implicherà anche l’introduzione
della “carriera” dei docenti e la possibilità di istituire figure professionali diversificate,
al fine di affrontare la sfida della complessità educativa alla quale l’autonomia stessa deve rispondere.
8 Cambiare la scuola per dimezzare la dispersione scolastica il passaggio
cruciale dalla preadolescenza all’adolescenza.
L’insuccesso e la dispersione scolastica, i bassi livelli di apprendimento degli studenti
e delle studentesse rispetto ai propri coetanei europei, si manifestano nella
scuola secondaria di primo e secondo grado. Come tutti sappiamo, il punto di sofferenza
è lo snodo che va dagli 11 ai 16 anni, che coincide con il passaggio dalla preadolescenza
all’adolescenza e costituisce il punto debole dell’azione orientativa. E’ qui
infatti che si registra il tasso più alto di dispersione scolastica, con punte del 30%, soprattutto
nel primo anno degli istituti professionali e tecnici.
Occorre promuovere progetti ed esperienze di continuità e di raccordo curricolare
tra i due segmenti scolastici. Invece, il passaggio dalla scuola del primo ciclo alla
scuola del secondo ciclo è tuttora problematico.
Perché il biennio diventi realmente orientativo a partire dal primo anno, anzi dai
primi mesi della secondaria di secondo grado, è necessario progettare una azione di
orientamento incentrata sul recupero e sul riallineamento delle competenze di base,
soprattutto di quelle afferenti all’area di istruzione generale (sviluppo degli assi culturali)
relative all’equivalenza formativa. Mentre nel secondo anno, invece, dovrebbe
essere predisposta ed attivata un azione di ri-orientamento.
Perché questo si realizzi è necessario che si renda effettiva la pari dignità dei percorsi
e la loro equivalenza formativa, dei bienni, dei licei, dei tecnici, dei professionali
e della formazione professionale, indicando con precisione le competenze culturali
in uscita riferite ai quattro assi culturali del biennio, in modo da garantire i passaggi
da un indirizzo all’altro senza costringere gli studenti a dover affrontare gli esami di
idoneità.
Il Partito Democratico inoltre ritiene l’Anagrafe per combattere la dispersione scolastica
strumento utile e necessario, se fatto con criteri che rispondano in modo efficace
ed efficiente all’obiettivo di dimezzare il tasso di dispersione scolastica, che
l’Europa 2020 impone al nostro Paese. Vogliamo dare impulso alla nascita delle Ana-
grafi Regionali degli Studenti (oggi hanno o stanno istituendo le anagrafi solo 11 regioni
su 20).
Le norme generali ministeriali secondo noi devono indicare soltanto i criteri per
individuare i dati sensibili non acquisibili, salvaguardando le competenze regionali e garantendo allo Stato la possibilità di acquisire, dal sistema delle anagrafi regionali,
i dati di cui necessita per l’esercizio delle funzioni che l’ordinamento gli riconosce, tra
cui il sistema di valutazione. Nella bozza di Accordo sul Titolo V raggiunta all’unanimità
nella Conferenza Stato Regioni, è già prevista la realizzazione di un sistema unitario
di raccolta dei dati, a partire dai livelli regionali e quale sistema integrato degli
stessi, che consente l’accesso e l’utilizzo da parte di tutti i protagonisti istituzionali
(Stato, Regioni, Enti locali e istituzioni scolastiche) e che prevede anche la loro partecipazione
nella predisposizione dei criteri che lo governano.
9 Istruzione e formazione professionale di qualità per rilanciare il made in italy nel mondo
Occorre connettere organicamente il sistema dell’istruzione, di competenza dello
Stato, il sistema della formazione professionale, di competenza delle Regioni nonchè
le competenze dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali relative allo sviluppo e al lavoro.
Riteniamo che sia opportuno che esista ampia collaborazione tra i due sistemi,
che le Regioni e le autonomie locali attuino una programmazione integrata. Non riteniamo
opportuno un processo di unificazione tra i due sistemi, che farebbe perdere
ai due sistemi le proprie peculiari caratteristiche e la propria identità, né una concorrenza
tra gli stessi.
Occorre allineare i sistemi, qualificarli, migliorare le dotazioni strumentali, sanare
e ammodernare strutture e edifici spesso fatiscenti. Il divario territoriale è una delle criticità più rilevanti, da affrontare attraverso (i) la fissazione dei LEAC (ii) la legge sull’apprendimento permanente (iii) il riconoscimento, la validazione, la certificazione
pubblica dei crediti e delle competenze e l’accreditamento delle strutture formative
(iv) l’offerta di servizi di trasporto e per il tempo libero. È indispensabile un maggior controllo sulla spesa destinata alla formazione e sull’impiego dei fondi strutturali comunitari.
L’istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) va potenziata e gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) vanno istituiti come esperienze di formazione terziaria non accademica, distinguendo tra un’offerta regionale flessibile, non stabile, legata alle condizioni locali in continua trasformazione, e un’offerta di eccellenza, da consolidare nei settori strategici dello sviluppo del Paese. L’effettiva co-progettazione fra scuola e imprese
dei percorsi, e in particolare degli stage, vetrina delle aziende, è uno strumento potente,
se ben concepito e utilizzato. Vanno infine individuate forme efficaci di monitoraggio e controllo.
Occorre poi un provvedimento di legge per riconoscere il diritto individuale all’apprendimento permanente, estensione del diritto all’istruzione che condiziona l’accesso a tutti i diritti. Anche la formazione continua va riconsiderata, nel senso di orientare le iniziative verso i soggetti che sono più bisognosi di essere formati, aggiornati, riconvertiti, e sono più a rischio di perdita del posto di lavoro. Occorre anche un maggior coordinamento tra programmazione regionale e programmazione dei fondi interprofessionali, ampliandone il campo di intervento (apprendisti, lavoratori atipici e discontinui…)
10 Un piano straordinario per l’edilizia scolasticaDue edifici scolastici su tre non sono a norma di legge, per questo è urgente mettere
subito in sicurezza il 65 per cento delle scuole italiane. Da uno studio della KRLS
Network of Business Ethics, emerge che in Italia solo il 46 per cento delle scuole ha
il certificato di agibilità statica, contro il 98 per cento della Germania, il 93 per cento della Francia, il 92 per cento dell’Inghilterra, l’89 per cento della Spagna, il 77 per cento della Polonia, il 71 per cento del Portogallo, il 64 per cento della Romania, il 58
per cento della Bulgaria e il 53 per cento dell’Albania che chiude la classifica.
Così come sappiamo che tanti Istituti funzionano fuori norma ed in violazione del
decreto che per la sicurezza antincendio prevede la permanenza in classe di non più
di 26 persone in presenza di una unica porta quale via di fuga, ora a causa dell’aumento del numero degli alunni per classe, deciso dal Governo in carica, spessissimo il limite viene sforato giungendo anche ad avere presenti in classe più di 38 alunni .
E’ in gioco la vita dei ragazzi.
Il Partito democratico propone un piano straordinario per la manutenzione, la
messa in sicurezza degli edifici scolastici e l’edificazione di nuove scuole.
Le risorse stanziate, anche dall’ultimo governo di centro sinistra, talvolta non possono essere spese dagli enti locali per i lacci troppo stretti del patto di stabilità interno, che altrimenti verrebbe sforato. Per questo chiediamo di escludere dal patto di stabilità le spese per l’edilizia scolastica , come più volte da noi sollecitato anche in Parlamento. Lo snellimento delle procedure per reperire , liquidare e spendere le risorse, l’apertura di nuovi cantieri per la messa a norma e la ristrutturazione degli istituti scolastici esistenti, oltre che l’edificazione di nuove scuole, permetterebbero anche di dare avvio a centinaia di nuovi cantieri, con un impatto positivo sull’economia e l’ occupazione. Va programmata con le Regioni e gli enti locali, soprattutto nel mezzogiorno, una razionalizzazione e un rinnovamento radicale delle strutture scolastiche
destinando a questo scopo, nelle aree sotto utilizzate, i fondi FAS. Togliendo
le scuole dagli “appartamenti” in locazione ed edificando nuovi poli scolastici progettati con una architettura innovativa eco sostenibile in linea con le nuove tecniche di risparmio energetico, che sostenga e renda possibile una nuova didattica a classi aperte ed interdisciplinare. Dotando gli Istituti scolastici di palestre, biblioteche e laboratori, facendo intervenire nel controllo e nell’indirizzo dell’utilizzo delle risorse per l’edilizia scolastica il consiglio di istituto delle scuole autonome, rimotivando così anche la partecipazione dei genitori e degli studenti, oltre che dei docenti e di tutti coloro che nell’istituto operano.

PD Assemblea nazionale sul programma, Varese Ottobre 2010

giovedì 25 febbraio 2010

Il rapporto della fondazione Agnelli

E' stato presentato il secondo Rapporto sulla scuola della Fondazione Giovanni Agnelli di Torino, diretta da Andrea Gavosto, a Roma nella sede della casa editrice Laterza.
La Fondazione riprende una tesi nota: nell'istruzione, lo stato ha fallito. Proprio un sistema scolastico centralizzato e uniforme non è riuscito a ricucire le due Italie. Il Nord-Est e ancor più le province autonome di Trento e Bolzano vantano risultati di apprendimento che li collocano ai vertici delle classifiche mondiali. Il Sud e le isole sono crollati a livelli da Terzo Mondo.
tuttavia la Fondazione mette in rilievo che la riforma federalista dell'istruzione, decisa dalla modifica del Titolo V della Costituzione ma non ancora attuata, potrebbe sanare questo divario,solo a determinate condizioni. Quali? Innanzitutto una forte volontà riformatrice, una guida dei processi, poi investimenti adeguati. Altrimenti un cattivo e avaro federalismo rischia di peggiorare gli esiti del centralismo.
In mancanza di azioni perequative il sistema educativo andrà incontro al disastro. La razionalizzazione di spesa prefigurata dal federalismo produrrà consistenti risparmi, poiché calerà il numero dei docenti. Ma le somme risparmiate, afferma la Fondazione Agnelli, devono restare nella scuola ed essere investite per raggiungere due obiettivi fondamentali: ridurre l'abbandono scolastico e i tassi di ripetenza a un fisiologico 5-10% ed elevare i livelli d'apprendimento degli studenti.
Tanto più, avverte la Fondazione, che il piano triennale per la scuola varato dal ministro Mariastella Gelmini prevede già notevoli risparmi: un federalismo orientato esclusivamente al contenimento dei costi rischierebbe di ottenere solo risparmi marginali, più dannosi che utili.


Gli estensori del Rapporto – Gianfranco De Simone, Andrea Gavosto, Marco Gioannini, Stefano Molina e Alessandro Monteverdi – hanno rielaborato il vasto insieme di dati forniti dalle indagini Ocse-Pisa sulle competenze dei quindicenni in lingua, matematica e scienze; hanno analizzato i dati complessivi del ministero dell'Istruzione e persino i bilanci delle singole scuole; hanno commissionato ricerche originali, dall'impiego per la didattica delle nuove tecnologie informatiche e dell'accesso a Internet alle caratteristiche dei docenti neoassunti nel 2009 in sette regioni (Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Veneto). Ne emerge un'Italia che spende notevolmente per l'istruzione ma ottiene risultati mediocri, e soprattutto disastrosamente disomogenei.
Nei punteggi delle prove Pisa siamo sotto la media Ocse. Ma è la percentuale degli espulsi dal sistema educativo (drop-outs) che ci colloca fuori dall'Europa: il 20% dei giovani da 20 a 24 anni ha solo la licenza media. La Fondazione calcola che, se tutti i giovani conseguissero il diploma di scuola secondaria superiore, il sistema produttivo darebbe lavoro a un milione e 300mila giovani in più: il 6,3% degli occupati.
Nelle regioni meridionali il 30-40% dei giovani non raggiunge il livello minimo di competenze giudicato necessario, in campo internazionale, per essere cittadini attivi di uno stato moderno: comprendere e applicare alla soluzione dei problemi quotidiani un testo semplice o un elementare problema numerico. Chi studia nelle scuole del Sud ottiene, in media, 68 punti Ocse-Pisa meno di chi frequenta le aule del Settentrione: l'equivalente di un anno e mezzo d'istruzione. I paesi al vertice della classifica Ocse sono gli stessi che riducono al minimo il divario di risultati tra regioni, tra famiglie, tra ordini di scuole, tra le singole scuole. In Italia scarsi risultati medi convivono con differenze di livello abissali.

La scuola italiana fallisce anche come canale di promozione sociale. Il divario familiare, misurato dal titolo di studio dei genitori, e quello del contesto ambientale contano, per la determinazione dei risultati, assai più del talento individuale. Probletici il livello e le caratteristiche del corpo docente. Abbiamo un corpo insegnante fra i più numerosi, il numero dei docenti, compresi i precari, giunge quasi al milione, ma appare difficile rinnovarlo. I nostri insegnanti sono i più vecchi d'Europa. L'età media dei nuovi assunti 2009 è di 40 anni (42,2 in Campania e Puglia). Come stupirsi che, secondo il Rapporto, solo il 6% dei docenti ritenga le tecnologie informatiche «un supporto insostituibile per il lavoro dell'insegnante»?
Investiamo in istruzione il 3,5% del Pil, leggermente meno della media Ocse del 3,8%, ma la nostra spesa annua per studente è assai sopra la media: 7.716 dollari, a parità di potere d'acquisto, per un alunno della primaria (media Ocse 6.437) e 8.495 dollari per la secondaria (media Ose 8.006). Bisogna però ricordare che questo è dovuto al forte calo demografico del decennio precedente. Questo dato appare destinato a ridursi alla luce del continuo anche se relativo incremento che attualmente si registra. I risultati di questa spesa sono disomogenei, oltre che mediocri: il Rapporto calcola che un punto Ocse-Pisa in più costa 113 euro in Veneto, 130 in Sicilia, 144 in Basilicata, 165 in Trentino, considerando la spesa pubblica per studente dalla primaria al 15° anno.

Disabili e scuole private: "Qui non c'è posto"

DAL PROBLEMA DEL SOSTEGNO ALLA RETTA INTEGRATIVA: UN PERCORSO A OSTACOLI

La legge sulla parità del 2000 prevede che gli istituti che ottengono il sì del Ministero debbano accogliere tutti, disabili compresi. Ma la realtà a volte pare diversa»


ROMA - «Signora, ma perchè non iscrive suo figlio in una scuola statale? Lì sono organizzati meglio. Noi i ragazzi disabili non li prendiamo, non sapremmo come gestirli, non abbiamo insegnanti di sostegno». Iscrivere un bambino alla scuola paritaria può diventare un percorso a ostacoli per un padre o una madre se quel figlio ha una disabilità. Non bastano le difficoltà quotidiane e il pensiero assillante di quel giorno in cui mamma e papà non ci saranno più. Ci si mettono pure le discriminazioni in ambito scolastico. Eppure la legge sulla parità del 2000 prevede che le scuole che ottengono il sì del ministero debbano accogliere tutti, disabili compresi. Tanto che ogni anno vengono stanziati dei fondi per il sostegno. Il concetto lo ha ribadito anche il tribunale di Roma nel 2002 e nel 2008 il ministro Mariastella Gelmini ha rincarato la dose con un decreto in cui si dice che si ottiene la parità solo se si rispettano le norme di inserimento degli alunni disabili.

OLTRE LA LEGGE IL «FAI DA TE» - Fin qui la legge, ma nella realtà regna il fai-da-te. Una giungla in cui la Dire ha deciso di avventurarsi. Telefono alla mano, abbiamo contattato numerose scuole private paritarie, scoprendo che molte volte il bambino disabile riceve un «no». Ma anche quando scatta il «sì» arrivano i problemi sul sostegno. E su questo punto la confusione è totale. C'è chi dice «noi non ci attiviamo neanche per averlo», scaricando la colpa sul ministero "che non garantisce i rimborsi, che stanzia pochi fondi", chi chiede rette aggiuntive per pagare l'insegnante in più, chi contributi parziali.

IL PROBLEMA DEL SOSTEGNO - Qualche esempio. Chiamiamo un noto istituto privato romano, di quelli che pubblicizzano la loro attività a forza di maxi cartelloni. Ci risponde una cortese segretaria a cui chiediamo di iscrivere alla prima elementare un bimbo affetto dalla sindrome di down. «Non credo ci siano problemi- risponde la donna in un primo momento- chiedo alla direttrice». Poi il verdetto cambia: «Non abbiamo l'insegnante di sostegno in questo momento. Può provare nelle scuole statali dove il sostegno c'è sempre. Le iscrizioni sono ancora aperte». Il no è condito da un «mi dispiace» che si ripete ad ogni diniego, con, appunto, il consiglio di mandarli alla statale, i bambini con disabilità, perchè lì, si sa, sono «più organizzati». Di fatto, uno scarica barile. Che penalizza le scuole pubbliche e, soprattutto, le famiglie, che non hanno liberta' di scelta su dove far studiare i figli.
Cambiamo ciclo scolastico, ci riproviamo con le superiori. Di nuovo scegliamo un istituto paritario romano dei più pubblicizzati. Anche qui scatta il no al ragazzo down: «Non sappiamo come gestirli- risponde un uomo al centralino- non abbiamo l'obbligo di prenderli, non ricadiamo nella legge della scuola pubblica. Non prendiamo ragazzi con disabilità».

«SI CREA UN PROBLEMA» - Il problema è il sostegno? Domandiamo. «No, è che non li prendiamo proprio perchè ci si viene a creare un problema. La cosa migliore, signora, è la statale, che è più organizzata di noi». Ci risiamo. In un istituto cattolico gestito da una grande fondazione (la struttura è a Roma e ha laboratori, centri sportivi, teatro, piscina) si aprono le porte per il nostro bambino che deve andare in prima, ma, ci dicono dalla segreteria, «noi siamo una scuola paritaria e vi dovete prendere l'onere del sostegno. In attesa che il ministero vi riconosca le ore e vi rimborsi, ma chissà quando avverrà». Scoraggiarsi è d'obbligo. In un'altra scuola cattolica blasonata della Capitale ci dicono che «non c'è un sì o un no a priori, certo poi bisogna vedere se si concretizzerà l'iscrizione». Ci lasciano nel dubbio.

RETTA INTEGRATIVA - Istituto di suore a Milano: il sostegno non c'è, il bambino non trova spazio. «Il fatto- ci dicono- è che il ministero paga solo un 'quid'...". Colpa di viale Trastevere, insomma, se un bambino non può scegliere la scuola che vuole. In un istituto di Verona ci dicono che anticipano loro la «retta integrativa per la disabilità». Poi la famiglia chiederà un sostegno alla Regione che andrà girato all'istituto. «E se non ce lo danno?». «Non è mai capitato, ma certo il rimborso si potrebbe fare in molte rate». Si parla, infatti, dello stipendio di un docente per un anno. E anche al Sud la musica non cambia: a Palermo ci invitano a portare il nostro bimbo alla statale, «da insegnante- ci dice una operatrice- le dico che è meglio». (Fonte agenzia Dire, da www.corrieredellasera.it)

Salviamo il Fantabosco.


Vi chiamiamo a una missione di soccorso.

Come potete leggere in questi due articoli usciti su www.ilSalvagente.it
- "Fantabosco addio, la Rai uccide la tv dei ragazzi", Intervista con Mussi Bollini, e
"La Rai sbaglia, non si uccide il Fantabosco", intervista con Aldo Grasso
il consiglio di amministrazione della RAI ha deciso di cancellare la produzione di Melevisione e dell'intera Fascia Bambini di Rai Tre, che a quanto pare non "trasmigrerà" sul digitale terrestre.
Spesso nel trasmigrare i galeoni, col pretesto della penuria di cibo e acqua, prendono il largo lasciando su uno scoglio i più deboli.
E qui da noi è sempre più chiaro: questo non è un paese per piccoli.

Il web sta già rispondendo.
E' nato su Facebook un gruppo di sottoscrizione fondato dall'illustratore e scrittore Simone Frasca. Eccolo:

Salviamo il Fantabosco dalla chiusura!

Potete e volete sottoscrivere? Potete diffondere la notizia ai vostri contatti?

Se (meglio ancora) volete anche spedire una mail, potete indirizzarla a melevisione@rai.it , che provvederà a rimbalzarla ai piani alti della RAI.

Grazie, a nome di tanti bambini d'Italia, da chi scrive storie e rime per loro da tanti anni che può azzardare di parlare a loro nome.

Bruno Tognolini

www.tognolini.com

mercoledì 24 febbraio 2010

LO DICE ANCHE LA FONDAZIONE AGNELLI: RIFORMA GELMINI INADEGUATA

Non lo dicono pericolosi eversivi comunisti, ma i dati presentati oggi dalla Fondazione Agnelli.
Non sarà una società del merito e della conoscenza diffusa, se la scelta che i giovani compiranno a 13 anni sarà nei fatti irreversibile per la grande differenza di programmi proposti dai diversi percorsi formativi, sin dal primo biennio: la serie A dei licei scelti per lo più dai benestanti, la serie B degli Istituti tecnici, la serie C dei professionali destinati a chi arriva da ambienti meno favorevoli. O peggio ancora, se si prevede un ingresso nel mondo del lavoro (che non c’è) con l’apprendistato a 15 anni. Per questo il Partito Democratico dà un giudizio totalmente negativo del riordino delle superiori appena varato dal Governo: la divisione tra canali formativi si basa su una divisione netta tra il “sapere” e il “saper fare”, che rispondeva a un modello di società e di economia, oggi del tutto obsoleto. Proponiamo di reintrodurre l’obbligo scolastico fino a 16 anni e per le superiori un biennio unitario e un triennio d’indirizzo.

Un sistema di istruzione e formazione rinnovato deve realizzare il raccordo con l’alta formazione tecnica, con la formazione professionale, con l’università e con il mondo del lavoro. È su questi nodi che si deve andare a costruire un ripensamento radicale della scuola superiore, che in questi anni è mancato e che l’attuale riordino non affronta.

I divari abnormi tra nord e sud del Paese nei livelli di istruzione sono presto spiegati: nel mezzogiorno sono scarsi gli investimenti nell’educazione sin dalla tenera età (pochissimi i posti al nido) e una rarità il tempo pieno nella scuola primaria. Come ci dimostrano le scienze pedagogiche, psicologiche, le neuroscienze e le ricerche economiche, gli interventi socio-educativi precoci nell’infanzia sono duraturi e produttivi nel tempo e possono costituire una grande occasione di recupero per situazioni svantaggiate. Trasformare il nido d’infanzia da servizio a domanda individuale a diritto educativo, fornendo servizi di buona qualità, è la risposta giusta per creare benessere e sviluppo integrale di ogni bambino, per sostenere la genitorialità, per favorire l’occupazione femminile e la conciliazione tra tempi di vita e lavoro. Il Partito Democratico chiede di generalizzare il diritto alla scuola dell’infanzia, quando ancora è negato in vaste zone del Paese. Nella primaria, anche gli ultimi test Invalsi evidenziano come i migliori risultati siano raggiunti dagli studenti laddove è più diffuso il tempo pieno: per questo vogliamo valorizzare questo modello educativo e il modulo a trenta ore, ripristinando le compresenze degli insegnanti.

Occorre poi attivare con le Regioni politiche di contrasto alla dispersione scolastica e l’abbandono precoce dei percorsi di studio, contrastando l’ingresso nel mondo del lavoro sotto i 16 anni e promuovendo una positiva e virtuosa integrazione tra istruzione superiore e formazione professionale in quadro di sviluppo territoriale economico e sociale. Con le Regioni occorre monitorare seriamente la valenza formativa dei percorsi triennali di formazione professionale, rivedendo gli attuali sistemi di accredito; investire su programmi specifici per l’ampliamento dell’offerta formativa delle scuole, anche attraverso la connessione positiva con la formazione professionale, le aziende, le università e gli enti di ricerca; istituire un fondo straordinario per borse di studio dedicato agli studenti appartenenti alle famiglie colpite dalla crisi per il proseguimento degli studi superiori.

Questo Governo taglia solo risorse alla scuola e non fa alcun investimento per recuperare efficacia, efficienza ed equità. Il Partito Democratico vuole più qualità per la scuola pubblica, perché abbiamo in testa un’altra Italia e dunque, un’altra scuola.

Francesca Puglisi
Responsabile nazionale Scuola PD

Novità, documenti, ricerche, conflitti.

Blog tematico della rivista "Riforma della scuola".
News dalle scuole, dall'associazionismo, dai movimenti, dalla cronaca.

domenica 21 febbraio 2010

Solo il razzismo ci è straniero.

PRIMO MARZO 2010: APPELLO A TUTTO IL MONDO DELLA SCUOLA


La scuola è la casa comune di tutti e di ciascuno
La scuola pubblica è il luogo fondante dell’accoglienza, è il luogo di incontro tra persone, tutte diverse tra loro, e tra culture, è il luogo dell’apprendimento e dello scambio di esperienze. È il luogo in cui la crescita serena di ognuno è la condizione della crescita degli altri.
È il luogo fondante del nostro futuro dove si devono costruire le condizioni per superare le disuguaglianze e gli svantaggi che sono ostacolo alla libertà di tutte e tutti, che siano nati in Italia o in altre terre.
Per questo rifiutiamo qualsiasi norma, qualsiasi comportamento, qualsiasi disegno politico o ideale che divida le persone, a cominciare dai bambini, sulla base della loro origine etnica e respingiamo ogni atto discriminante sia stato compiuto e si voglia compiere contro alunne ed alunni delle nostre scuole, come gli arbitrari tetti di frequenza per immigrati o le sezioni subdolamente create per soli bianchi.
Pensiamo invece che la presenza delle alunne e alunni immigrati possa essere un’occasione straordinaria di crescita se alle nostre scuole saranno date tutte le risorse economiche, di tempo, e di insegnanti necessarie per costruire, giorno per giorno, una politica di integrazione, di scambio, di relazione viva tra le persone che saranno il nostro domani. L’impoverimento della scuola, al contrario, è la prima forma di razzismo, perché trasforma le differenze in disuguaglianze e la disuguaglianza porta alla separazione e alla discriminazione.

Per questo il primo marzo 2010 saremo ovunque visibili e solidali insieme ai nostri fratelli e sorelle immigrati, alle loro figlie e ai loro figli.
Invitiamo tutti gli insegnanti a fare proprio questo appello e durante le ore di lezione rendere partecipi le alunne e gli alunni delle scuole del significato di questa giornata con attività didattiche ed interventi sui temi dell'intercultura e dell'integrazione.
Invitiamo inoltre genitori, insegnanti e studenti delle scuole di Bologna e provincia ad essere presenti alle iniziative delle associazioni che a Bologna saranno presenti dalle 15 del 1° marzo in piazza Nettuno per far capire all'opinione pubblica italiana quanto sia determinante l'apporto dei migranti alla tenuta e alla crescita civile della nostra società.

L’assemblea genitori insegnanti delle scuole di Bologna e provincia - Coordinamento docenti scuole superiori - Coordinamento precari scuola Bologna